Eugenio Carmi

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Inquietudini.

2012 Eugenio Carmi

1973 Umberto Eco

Inizio le mie considerazioni citando le righe finali del capitolo L'ultimo Carmi pittore di Umberto Eco (1), scritto nel lontano 1973. (…)

Animale eminentemente urbano, Carmi parla polemicamente di una civiltà della visione e del rumore che lo ossessiona, lo disturba, lo affascina.

Un suo moralismo e una sua tendenza alla fuga campestre si combinano con una sorta di salutare ottimismo, per cui non riesce a non gioire delle sollecitazioni che il paesaggio urbano, nella sua insopportabilità, gli propina quotidiniamente. Diciamo che egli ha raggiunto una sorta di allucinato equilibrio ritraducendo il paesaggio esterno in una sorta di paesaggio personale pacificato e sottratto alle contraddizioni che lo generavano. Ma altrettanto giustificata è l'impressione, e l'augurio, che questo equilibrio duri ancora per poco.

Anche perché, di rasserenato, qui c'è soltanto il pittore. L'uomo gli provvederà nuove inquietudini.

(1) Umberto Eco. "Eugenio Carmi. Una pittura di paesaggio ?"

Giampaolo Prearo Editore, Milano, 1973, pag. 101.

"Nuove inquietudini". Il testo del libro di Eco finisce con una frase profetica e anche un po' magica. Nel 1949 consideravo distrattamente il drammatico "1984" di Orwell, visto che per fortuna era finita una guerra catastrofica, il nazismo era stato sconfitto, il nostro (il mio) ottimismo per il futuro era indistruttibile e pensavo che finalmente il mondo sarebbe stato migliore di prima.

Oggi, nel 2012, ripensando alle inquietudini che Umberto nel 1973 attribuiva al futuro, cerco di spiegare perché aveva ragione lui.

Mentre nel 1949 Orwell, pensando il 1984 come una data di un lontanissimo futuro, oltre venti anni dopo, nel 1973, Eco conclude il suo libro annunciando inquietudini.

Io sto vivendo il tempo presente cercando di capire cosa mai sta succedendo nel mondo in questo nuovo secolo. Sto pensando al mistero dell'Universo e quasi tutte le mie ultime opere cercano di rendere visibile la bellezza e l'armonia delle leggi della natura. Da quando sto lavorando a questo tema vivo con inquietudine il mondo di oggi che sta correndo velocemente senza immaginare il punto di arrivo. La tecnologia ha rivoluzionato il modo di vivere, nel bene e nel male, e forse è una delle cause della crisi.

L'arte del 2000 è come ibernata, e confesso di sentirmi più contemporaneo a quel bravissimo artista che 17.000 anni fa ha dipinto un bisonte nella grotta di Lascaux, che alla cosiddetta"arte contemporanea" che vedo oggi.

Trovandomi nello scorso novembre a New York andammo con alcuni amici al Museo Guggenheim. Il bellissimo Museo, progettato nel 1943 da Frank Lloyd Wright, sembra attuale, forse inconscio ispiratore di architetture recenti. Penso a Renzo Piano a Frank Gehry e ai pochi grandi architetti di oggi. Non do giudizi sulla mostra (trattandosi di un italiano) per amor di patria. Preferisco pensare a Pitagora, a Talete, ad Archimede, a Fibonacci.

Oggi ciò che mi manca è l'identità di ciò che vedo.

Perché davanti alla Nascita di Venere riconosco Botticelli e di una installazione non riconosco l'autore ? E' colpa mia, o manca l'identità ?

Di un libro mi piace toccare la carta, voltare le pagine, mettere un segno. La sua immagine virtuale non tocca i miei sensi.

Tanti anni fa ho letto la Vita di Benvenuto Cellini, scritta da lui stesso.

Descrive fra l'altro un bellissimo viaggio da Firenze a Parigi con altri amici durato alcune settimane. Noi andiamo in un'ora, ma lui si è divertito di più.

Noi siamo inquieti.

Eugenio Carmi

Marzo 2012.